Poliabortività ABORTO SPONTANEO RICORRENTE

Introduzione
I FATTORE GENETICO NELL’ABORTO SPONTANEO RICORRENTE.

II FATTORE ANATOMICO NELL’ABORTO SPONTANEO RICORRENTE
1 definizione
2 patogenesi
3 Diagnosi
4 Interventi terapeutici

III FATTORE VASCOLARE

IV FATTORE ENDOCRINO
1. Anomalie della funzione tiroidea
2. Pcos ed Insulino-resistenza

V FATTORE IMMUNOLOGICO
1. Ipotesi patogenetiche
2. La gravidanza come fenomeno TH2
3. Ruolo delle cellule NK in gravidanza
4. Ruolo delle cellule T in gravidanza
5. Diagnosi e terapia delle alterazioni del sistema immune cellulare nell’aborto spontaneo ricorrente

VI. TROMBOFILIE ED ABORTO SPONTANEO RICORRENTE
Introduzione
1. Sindrome da anticorpi antifosfolipidi nell’aborto spontaneo ricorrente
2. Trombofilie ereditarie ed aborto spontaneo ricorrente
3. Terapie

VII. IPOFIBRINOLISI ED ABORTO SPONTANEO RICORRENTE
1. Polimorfismi da ipofibrinolisi
2. Ipofibrinolisi e complicanza gravidiche
3. Ipofibrinolisi: meccanismo patogenetico nell’aborto spontaneo ricorrente

INTRODUZIONE
La gravidanza umana potrebbe essere considerata un processo inefficiente dal momento che un’elevata percentuale dei concepimenti non giunge al successo e si traduce in aborto spontaneo, che è quindi la più frequente complicanza della gravidanza. Infatti, benché l’incidenza di aborto clinicamente accertato non superi il 15%, si stima che solo il 50% dei concepimenti si traduca in gravidanza. Nella maggior parte dei casi questi insuccessi, definiti aborti sporadici, sono legati ad anomalie cromosomiche il cui rischo, come noto, aumenta con l’aumentare dell’età materna. Tale osservazione spiega l’aumento crescente di aborti sporadici nei Paesi indrustrializzati in cui si osservarva una crecente tendenza a procrastinare l’età della gravidanza. Al contrario, si parla di aborto “ricorrente” quando si manifesta in tre o più episodi clinicamente accertati prima della 20-22 settimana. L’ aborto spontaneo ricorrente (ASR) si definisce primario, in assenza di una precedente gravidanza con figlio vivo, e secondario qualora vi sia almeno una precedente gravidanza con figlio vivo, indipendentemente dal numero di aborti. Tale patologia interessa l’ 1%-5% delle donne in età fertile, a seconda che vengano considerati 2 o 3 episodi abortivi. Di fronte all’ASR si è concordi sulla necessità d’intraprendere un iter diagnostico, per individuare le possibili cause che essa sottende. Da viversi anni, inoltre, si ritiene necessario intraprendere tale percorso dopo due aborti consecutivi. L’ “American College of Obstetricians and Gynecologists” (ACOG), infatti, raccomanda di avviare la ricerca delle cause dopo due aborti, soprattutto in donne di età superiore ai 35 anni o con difficoltà al concepimento. Dalle indagini epidemiologiche, inoltre, emerge che il rischio di un nuovo aborto non varia significativamente dipo due (26%) o tre (30%) precedenti insuccessi gestazionali, mentre tale rischio aumenta al 40% dopo 4 episodi abortivi .
Benché in gran numero dei casi (40-60%) non sia possibile individuare il fattore alla base degli insuccessi gravidici, esistono diverse patologie che si correlano con una condizione di ASR ed includono anomalie endocrine, malformazioni uterine, anomalie genetiche, patologie autoimmuni ( vedi , Fig.1).
Recentemente, sono emerse evidenze che suggeriscono l’associazione tra ASR ed altre condizioni patologiche che includono alterazioni del sistema coagulativo, immunologico e anomalie della perfusione uterina.
L’obbiettivo di questo capitolo sarà dunque quello di esplorare i diversi aspetti dell’ASR con particolare attenzione alle nuove teorie patogenetiche e le diverse strategie terapeutiche.

I -FATTORE GENETICO NELL’ABORTO SPONTANEO RICORRENTE.
Il fattore genetico ed in particolare le aneuplodie fetali, sono la prima causa di aborto entro le prime 10 settimane. Circa il 50-60% degli aborti sono associati ad anomalie citogenetiche; In particolare, le più frequenti aberrazioni cromosomiche sono le trisomie, seguite dalle triploidie e dalla monosomia X. Il meccanismo patogenetico nelle trisomie è un errore nella prima divisione meiotica dell’ovocita, che, com’Ë noto, inizia in utero e non si completa fino all’ovulazione. Inoltre, in coppie affette da ASR si è riscontrato anche un aumento delle aberrazioni cromosomiche nello sperma. E’ nota l’associazione fra età materna avanzata ed aneuplodia dell’embrione ma il meccanismo patogenetico alla base non è stato del tutto chiarito. Un’ipotesi sarebbe quella che le donne in età avanzata hanno un a riserva ovarica diminuita con conseguente scarsità d’ovociti ad uno stadio ottimale di maturazione. Le donne con aborto ricorrente sono più soggette all’eterotrisomia, ovvero alla ricorrenza di una trisomia diversa dopo una precedente perdita per trisomia. Inoltre, studi su coppie con ASR che si sottopongono a procreazione medicalmente assistita, hanno evidenziato che il numero d’embrioni geneticamente alterati era superiore in queste coppie rispetto ad altre della stessa età ma con anamnesi negativa per ASR. In conclusione, l’aneuploidia ricorrente sembra essere un meccanismo alla base dell’ASR.
In secondo luogo, il 4% delle coppie con ASR è portatore ( almeno un partner) di traslocazione bilanciata o reciproca, nella quale vi è uno scambio fra due segmenti terminali di due cromosomi non omologhi, oppure di traslocazione Robertsoniana, in cui vi è la fusione di due cromosomi acrocentrici. I portatori di traslocazione bilanciate o reciproche sono fenotipicamente normali, ma il 50-60% dei loro gameti sono sbilanciati per un’anomala segregazione meiotica. Il rischio riproduttivo nei portatori di traslocazione dipende dal tipo di riarrangiamento e dal portatore ( maschio o femmina).
Le coppie con ASR devono sottoporsi a valutazione del cariotipo d’entrambi i partners in fase preconcezionale. In un secondo tempo, la diagnosi genetica in coppie con pregresse morti fetali, aborti ricorrenti o portatrici di traslocazioni bilanciate si esegue attraverso la valutazione antenatale dei villi coriali o l’ammiocentesi che permette di eseguire il cariotipo fetale o la ricerca di malattie genetiche specifiche ( es: talassemia, fibrosi cistica, distrofia muscolare, X fragile, sordità congenita ). La diagnosi preimpianto (PGD) è stata impiegata nelle coppie con ASR dovute a riarrangiamenti cromosomici e sospetta aneuploidia ricorrente. In ogni caso, la percentuale di nati vivi in pazienti con traslocazioni e concepimenti spontanei è superiore ( 50-60%) a quella che si ottiene con la procreazione medicalmente assistita e la diagnosi preimpianto che è del 38% per embrione tra ferito.

II- FATTORE ANATOMICO NELL’ABORTO SPONTANEO RICORRENTE
1 -Definizione ed epidemiologia:
Le malformazioni uterine sono anomalie congenite dell’apparato genitale femminile che dipendono da un mancato sviluppo o cavitazione, fusione o riassorbimento dei dotti di Müller durante la vita fetale. La mancata formazione di uno o ambedue i dotti di Müller determina l’utero unicorne o l’agenesia uterina. La mancata canalizzazione di tali dotti porta alla formazione di cavità rudimentarie. Dalla mancata o incompleta fusione dei dotti origina l’utero bicorne completo o parziale e dal mancato riassorbimento del setto centrale origina l’utero setto completo, parziale o l’utero arcuato. La classificazione tuttora in uso per distinguere le malformazioni uterine è quella dell’American Fertility Society (1988) basata sul precedente lavoro di Buttram e Gibbons. Questa classificazione prende in considerazione il grado di anomalia e le possibilità terapeutiche e prognostiche delle diverse classi di malformazioni anche se attualmente sono allo studio alcune modificazioni alla luce delle nuove metodiche diagnostiche quali l’ecografia transvaginale tridimensionale ( 3D TV US).
Le malformazioni uterine sono riconosciute causa di complicanze ostetriche quali parto pretermine, presentazioni anomale, infertilità ed aborto. La prevalenza delle anomalie uterine nelle pazienti con ASR varia nelle casistiche fra l’1 ed il 28% con un valore medio di 12-14% che risulta significativamente superiore a quell’osservata mediamente nella popolazione di donne fertili (2-4%).
2 Patogenesi
Fra le anomalie congenite mulleriane, l’utero setto è quella più frequente e che si associa con la più alta percentuale di fallimenti riproduttivi e complicanze ostetriche. Il meccanismo mediante il quale l’utero setto interferisce nella riproduzione non è ancora del tutto chiarito. L’ipotesi patogenetica più accettata è che l’aborto precoce possa essere il risultato di una scarsa vascolarizzazione del setto che sarebbe responsabile di un difetto d’impianto e placentazione. Uno studio sulla valutazione della sede d’impianto mediante ecografia transavaginale ha dimostrato che il sito d’impianto era a livello della parete laterale dell’utero nelle gravidanze evolutive, mentre in 7 su 8 di quelle esitate in aborto, l’impianto era sul setto. Il meccanismo mediante il quale l’utero setto determina complicanze nella fasi di gravidanza più avanzate, quali aborti tardivi e parto pretermine, non è verosimilmente di tipo multifattoriale e si ipotizza che includa diverse problematiche tra cui il ridotto volume della cavità uterina e l’incompetenza cervicale.
3 Diagnosi
La diagnosi differenziale delle malformazioni uterine congenite riveste un ruolo di primaria importanza nella donna con ASR. L’impatto sull’esito riproduttivo, infatti, varia significativamente in base al tipo di malformazione. L’utero bicorne, ad esempio Ë omogeneamente vascolarizzato e non determina dunque un aumentato rischio di aborto, al contrario, l’utero setto presenta tipicamente una scarsa vascolarizzazione a livello del setto, e conseguentemente dell’endometrio sovrastante, che determinare un anomalo impianto cui consegue un aumentato rischio di aborto.
Tra le tecniche diagnostiche per la diagnosi delle malformazioni uterine l’isterosalpingografia è stato il primo l’esame ad essere utilizzato nella pratica clinica. Questa tecnica, tuttavia, consente solo una diagnosi di duplicazione della cavità mentre, per la diagnosi differenziale tra utero setto e utero bicorne è necessario esaminare anche la il profilo esterno dell’utero. Allo stesso modo l’isteroscopia diagnostica, per quanto sia in grado di rilevare anche le minime deviazioni della cavità uterina consentendo di studiare ampiamente le caratteristiche di un eventuale setto, non consente la diagnosi differenziale tra utero setto e bicorne. A tal fine, solo l’associazione con la laparoscopia consente una diagnosi definitiva. La laparoscopia è tuttavia una metodica invasiva, e pertanto già da alcuni anni si è cercato di eseguire la valutazione del profilo uterino esterno con esami non invasivi, quali la risonanza magnetica, che è ancora gravata da elevati costi, e l’ecografia transvaginale tridimensionale la cui sensibilità e specificità nella diagnosi delle malformazioni uterine ha raggiunto il 92%. Tale metodica, attraverso la visualizzazione della superficie sierosa e mucosa nella stessa scansione coronale consente, un’accurata diagnosi differenziale delle malformazioni uterine ed allo stesso tempo una corretta valutazione della larghezza e dello spessore di un eventuale setto .
4 Interventi terapeutici
L’asportazione isteroscopica è attualmente considerata il trattamento di prima scelta per i pazienti con utero setto. Questa metodica permette di ricostituire la normale architettura della cavità endometriale pur essendo caratterizzata da una bassa invasività con tempi di ospedalizzazione brevi. L’utilizzo di tale metodica non rappresenta, inoltre un’indicazione al taglio cesareo in una successiva gravidanza.
L’efficacia della metroplastica, nel migliorare la prognosi riproduttiva, è dimostrata da numerosi lavori che evidenziano come le percentuali d’aborto in pazienti con ASR e utero setto si riducono dall’80% al 15-20% dopo l’intervento.

III- FATTORE VASCOLARE
Lavori emersi negli ultimi anni hanno reso evidente il ruolo della perfusione uterina nel determinare il successo dell’impianto dimostrando che un’adeguata vascolarizzazione uterina deve essere considerata uno dei fattori maggiormente coinvolti nel determinare la recettività uterina. Questi studi sono stati possibili grazie alla flussimetria Doppler delle arterie uterine, eseguita durante l’ecografia transvaginale, che costituisce una metodica non invasiva attraverso cui è possibile valutare la perfusione uterina. Studi condotti in pazienti sottoposte a tecniche di riproduzione assistista hanno dimostrato che l’analisi delle resistenze delle arterie uterine rappresenta una buona metodica per valutare la possibilità di successo dell’impianto. In particolare, questi studi riportano che elevate resistenze uterine, verosimilmente indice di una scarsa vascolarizazione uterina, si correlano con un ridotto tasso di gravidanza mentre più bassi indici di resistenza, secondari ad una migliore perfusione uterina, si associano a maggiori possibilità di gravidanza. Sulla base di queste osservazioni è possibile ipotizzare che la vascolarizzazione uterina possa svolgere un ruolo decisivo anche nell’ASR. Per tale motivo, in un nostro recente studio abbiamo valutato gli indici flussimetrici delle arterie uterine in donne con ASR paragonandoli a quelli di un simile gruppo di donne fertili. I risultati dello studio confermano il ruolo della vascolarizzazione uterina nell’ASR dimostrando resistenze più elevate nelle donne affette da questa patologia rispetto al gruppo di controllo. Inoltre, analizzando i dati in base ai diversi fattori etiologici abbiamo potuto dimostrato che l’inadeguata perfusione uterina può essere verosimilmente il fattore importante in casi d’ASR in precedenza considerati “sine causa” ed un importante cofattore associato a specifiche anomalie. Abbiamo, infatti, osservato le più elevate resistenze nel gruppo di pazienti che alla fine dello screening non presentavano alcuno dei fattori conosciuti d’ASR ed in pazienti con sindrome da anticorpi antifosfolipidi e ad anomalie anatomiche. In questi ultimi due gruppi è possibile supporre che l’alterata vascolarizzazione uterina, possa determinare un ulteriore contributo alla sfavorevole prognosi ostetrica. In tale ottica, è verosimile ipotizzare che terapie volte a migliorare la perfusione uterina potranno migliorare la prognosi gestazione in pazienti con ASR ed inadeguata perfusione uterina. Per tale motivo, in un recente studio abbiamo dimostrato come la somministrazione di sostanze vasoattive quali l’aspirina e i gli acidi grassiW3 in pazienti con ASR ed elevate resistenze a livello delle arterie uterine sia in grado di ristabilire la normale perfusione uterina riportando gli indici flussimetrici nei range di normalità. Ovviamente, sono necessari successivi studi per chiarire se la normalizzazione di tali indici possa effettivamente derminare un miglioramento della prognosi gestazionali in queste pazienti.

IV-FATTORI ENDOCRINI
Si ritiene che fattori endocrini contribuiscano all’aborto ricorrente nel 10-20% dei casi.
1. Anomalie della funzione tiroidea
Il deficit della funzione tiroidea costituisce la patologia endocrina più frequente nella donna in età riproduttiva ed è in grado di compromettere la prognosi riproduttiva interferendo negativamente su fertilità e gravidanza. Il deficit della funzione tiroidea può inoltre, compromettere significativamente lo sviluppo neurologico del feto e rendersi responsabile di ripercussioni a distanza sia per la madre che il bambino. La causa più comune d’ipotiroidismo nelle donne in età fertile è una malattia tiroidea autoimmune. In particolare, sono stati chiamati in causa due tipi d’anticorpi antiroidei : l’anticorpo antitireoperossidasi e l’anticorpo antitireoglobulina, la cui presenza deve essere considerata indice di patologia tiroidea in atto o in via di sviluppo. Gli studi a nostra disposizione dimostrano che la presenza di tali anticorpi si associa ad un’elevata percentuale d’aborto e ad un rischio due volte superiore di sviluppare ipertensione gestazionale. Tali studi suggeriscono, inoltre, che gli anticorpi antitiroide debbano essere considerate un fattore indipendente per identificare pazienti, anche se clinicamente e biochimicamente eutiroidee, a rischio di ASR. Il meccanismo attraverso cui tali autoanticorpi determinano l’infausta prognosi gestazionale è ancora controverso, benché diverse siano le ipotesi proposte. Secondo alcuni, l’interazione tra i diversi ormoni simili alla tireotropina, tra cui la hCG che nelle prime fasi della gravidanza è necessaria per un sufficiente apporto di progesterone, prodotti dalla placenta umana e gli anticorpi antitiroide potrebbe essere causa d’aborto. Alternativamente, si ritiene che gli anticorpi antitiroide riflettano un’anomala risposta immunitaria legata ad attivazione generalizzata del sistema immunologico. Come ipotizzato dalla maggior parte degli autori, infine, la presenza d’anticorpi antitiroide costituisce il segno di un ipotiroidismo clinicamente non evidente. Questa condizione, potrebbe divenire rilevante in condizioni d’aumentato fabbisogno, come in gravidanza, quando per l’iperestrogenismo, per l’azione tireostimolante della hCG e per l’aumento della clearance dello iodio si ha una maggiore richiesta d’ormone tiroideo. In questi casi si realizza dunque un quadro di reale ipotiroidismo, che soprattutto nelle prime fasi di gravidanza potrebbe determinare alterazioni irreversibili sull’unità feto-placentare tali da portare all’aborto precoce. Tale ipotesi è confermata da un nostro studio che dimostra che la somministrazione di ormone tiroideo in pazienti con ASR e anticorpi antitiroide determina un’ottima prognosi riproduttiva con una bassissima incidenza di aborto. Al contrario, utilizzando una terapia immunomodulate quale le immunoglobuline ad alte dosi solo il 50% delle pazienti hanno portato a termine la gravidanza. Queste osservazioni confermano l’importanza degli anticorpi antitiroide e suggeriscono che il meccanismo patogenetico attraverso cui agiscono sia di tipo endocrino piuttosto che immunologico
Una successiva conferma deriva dall’osservazione che molte pazienti con ASR presentano una condizione d’ipotiroidismo subclinico, in assenza d’anticorpi antitiroide ed altri fattori di rischio, e che anche in questi casi la supplementazione tiroidea determina un significativo miglioramento della prognosi gestazionale. Da tutte queste osservazioni emerge l’importanza di includere lo studio della funzione tiroidea in pazienti con ASR. Una condizione d’ipotiroidismo subclinico determina, infatti, un significativo aumento del rischio di un successivo aborto che può essere efficacemente ridotto attraverso l’utilizzo di una terapia, la supplementazione tiroidea, di basso costo e priva d’effetti collaterali per la madre ed il feto.

2. Sindrome dell’ovaio policistico ed insulino-resistenza

Negli ultimi anni sono emersi molti dati circa l’associazione tra sindrome dell’ovaio policistico (PCOs) e ASR. Non è chiaro, tuttavia, se la presenza di un ovaio morfologicamente policistico o le alterazioni ormonali che caratterizzano la sindrome si associno ad un aumentato rischio d’aborto.
Al contrario, l’insulino resistenza, che com’è noto caratterizza molte delle pazienti con PCOs, sembra determinare un aumentato rischio d’aborto. Il meccanismo attraverso cui questa condizione determinerebbe l’aborto è ancora controverso ma due sono le principali ipotesi avanzate. Seconda la prima ipotesi, l’aborto poterebbe essere secondario ad una diminuzione della tolleranza immunologica, mediata dall’abbassamento della glicoledina, proteina immunoregolatrice che è diminuita nelle PCOs mentre alla base della seconda ipotesi vi sarebbe una disfunzione del sistema fibrinolitico che svolge un ruolo primario al momento dell’impianto e della placentazione. A conferma di tale ipotesi vi è l’osservazione che le pazienti con PCOs hanno più frequentemente il polimorfismo in omozigosi 4G/4G per il gene che codifica per il PAI. Tale polimorfismo determina una condizione d’ipofibrinolisi, la cui correlazione con l’ASR sar‡ discussa in seguito.

V- FATTORI IMMUNOLOGICI
Dal punto di vista dell’immunologia tradizionale, la sopravvivenza di un prodotto del concepimento, che presenta geni d’origine paterna estranei per l’organismo materno, dipende dalla soppressione dell’immunità materna. Più moderne osservazioni dimostrano che durante la gravidanza, nonostante la funzionalità dei linfociti e delle T cellule si modifichi, non si verifica un’immunospressione generalizzata ma piuttosto una modulazione della risposta immune a livello dell’interfaccia materna fetale.
E’ stato ipotizzato che diverse condizioni, quale l’alterata espressione delle molecole immunoregolatrici HLA-G, la prevalenza della risposta immunologica di tipo cellulomediata o l’incremento dell’attività delle cellule natural killer (NK), possano determinare un’alterazione della risposta immune materna e causare l’insuccesso della gravidanza. Di seguito saranno esposte le condizioni d’alterato adattamento del sistema immunologico più verosimilmente implicate nella genesi dell’ASR.

1 Deficit di anticorpi bloccanti
Una delle prime teorie avanzate per spiegare l’aborto su base immunologica ipotizzava un’eccessiva risposta cellulomediata nei confronti del prodotto del concepimento per scarsa produzione d’anticorpi bloccanti materni (APCA) secondaria ad un’eccessiva condivisione d’antigeni HLA tra madre e feto.
In conformità a quest’ipotesi, per prevenire l’aborto si praticava l’infusione di linfociti del partner allo scopo d’indurre nella paziente la sintesi di APCA contro i decisivi HLA di classe I e II del partner.
Molti studi, però, hanno messo in dubbio quest’ipotesi patogenetica in quanto il trofobasto non esprime antigeni HLA di classe I e II, bensì una molecola HLA G, monomorfa, espressa e secreta dal trofoblasto, il cui ruolo immunomodulante nell’impianto è stato recentemente chiarito. Infatti, la presenza di polmorfismi per l’HLA-G si associa ad ASR ed i bassi livelli di HLA-G solubile nel mezzo di coltura d’embrione da FIVET si associa a fallimento d’impianto. Infine, non vi sono prove certe circa il ruolo degli anticorpi bloccanti dal momento che sono stati evidenziati nel 50% delle gravidanze con esito infausto. Quindi, nonostante il grande interesse suscitato da questa teoria, pochi sono i dati certi e la maggior parte degli autori non la considera più valida.

2 Alterazione del rapporto citochine Th1/Th 2
Come già riportato, la gravidanza fisiologica è caratterizzata da una modulazione della risposta immunitaria, necessaria a creare un ambiente favorevole alla sopravvivenza dell’embrione, caratterizzata principalmente da una riduzione della risposta cellulo-mediata ed un aumento della produzione anticorpale.
A tal fine, le citochine, molecole in grado di mediare la risposta immunitaria, svolgono un ruolo di primaria importanza. E’ stato, infatti, dimostrato che nella gravidanza fisiologica le cellule del trofoblasto, della decidua ed i leucociti producono una gran quantità di citochine che svolgono un ruolo di primaria importanza a livello dell’interfaccia materna fetale. Queste citochine complessivamente denominate Th2, di cui le più rappresentative della risposta immune caratteristica della gravidanza sono le interleuchine (IL) 5, 4, 10 ed il transforming growth factor beta (TGF, il TGF hanno un ruolo immunosopressivo importante dal momento che inibiscono l’attività delle cellule T, delle cellule NK e dei macrofagi e favoriscono la crescita del trofoblasto e l’angiogenesi. Al contrario in donne con ASR si osserva, sin dal momento dell’impianto, un incremento della produzione di citochine ad azione proinfiammatoria, le citochine TH1, di cui le più rappresentative sono l’interferone gammaINF), il tumor necrosis factor (TNF e l’interleuchina 2 (IL2). Sulla base di queste osservazioni si potrebbe supporre che un’alterato rapporto citochine Th1/Th2 a livello dell’interfaccia materno-fetale con eccesso di citochine pro infiammatorie Th1 potrebbe determinare un ambiente immunologicamente sfavorevole all’embrione e l’insuccesso della gravidanza. Questa teoria è supportata dall’osservazione che malattie autoimmuni cellulo-mediate come l’artrite reumatoide, durante la gravidanza vanno incontro ad una fase di remissione o di miglioramento. Studi in vitro dimostrano inoltre che linfociti messi in coltura con cellule di trofoblasto, provenienti da aborti, producono citochine di tipo Th1, mentre utilizzando placente non abortive si osserva una risposta di tipo Th2.Infine, la somministrazione a ratti in gravidanza di TNF-, IFN- o IL-2 (citochine di tipo Th1), provoca l’aborto che può essere prevenuto somministrando anticorpi anti TNF-.

3 Ruolo delle cellule NK in gravidanza
Le cellule NK sono cellule della risposta immune innata. Esse sono presenti sia in circolo che nella decidua ma hanno caratteristiche fenotipiche e funzionali diverse. L’incremento di queste cellule durante la fase secretiva del ciclo e la loro distribuzione deciduale, suggeriscono un ruolo importante nella regolazione dell’invasione trofoblastica. Queste cellule si dividono in base all’espressione di markers di superficie CD56 e CD16. Nel sangue la maggior parte delle NK sono CD56-, 16+ (10-20% dei linfociti) mentre solo lo 0.5% sono CD56+, 16+. Nell’endometrio, la maggior parte delle NK sono CD56+, 16-. Il loro numero, sotto l’effetto del progesterone, incrementa drasticamente durante il ciclo dal 20% dei linfociti totali, in fase proliferativa, al 40% durante la fase secretiva, fino a raggiungere il 70-80% nella decidua iniziale. Queste cellule sono chiamate NK uterine (uNK). In base all’intensità d’espressione del CD56, queste cellule si dividono in due sottopopolazioni: CD56dim, ad attività citotossica spiccata, e cellule CD56 bright, ad attività immunoregolatrice attraverso la secrezione di citochine. Le cellule NK ad attività citotossica secernono citochine di tipo TH1 (TNF-, IFN-mentre quelle ad attività immunoregolatrice secernono citochine TH2 quali IL4, IL5, IL13, IL10 e TGF. In TGF ha un ruolo decisivo nel favorire la crescita del trofoblasto. Nell’ASR vi è uno sbilanciamento delle proporzioni di cellule NK, con spiccato incremento delle cellule ad attività citotossica.
Infine, la funzione delle cellule NK è regolata dall’espressione sulla loro superficie, di due tipi di recettori ad azione attivatrice (KARs: killing immunoglobulin like activating receptor) o inibitrice (KYRs: killing immunoglobulin like inhibiting receptor). In condizioni fisiologiche, all’inizio della gravidanza, il numero di cellule NK deciduali ad attività citotossica diminuisce e la loro attività Ë inibita attraverso il legame di un recettore KIR ad antigeni HLA G sulla superficie del trofoblasto .Inoltre, vi è un aumento del numero di cellule NK immunosopressive. In condizioni patologiche, si produce uno sbilanciamento dell’equilibrio citochinico con prevalenza di citochine Th1 che attivano le cellule deciduali a fenotipo uNK trasformandole in NK ad attività citotossica che si legano al trofoblasto attraverso un recettore KAR che invia alle cellule un segnale di stimolo provocandone la loro degranulazione e rilascio d’enzimi proteolitici quali la perforina in grado di provocare la lisi diretta del trofoblasto (vedi Fig. 4).

Fig. 4. Meccanismo immunologico della tolleranza e del rigetto del trofoblasto. Tr Cell: cellula T regolatrice; MO: macrofago; +P : recettore per il progesterone . NK: cellula NK deciduale; PIBF : progesterone induced blocking factor.
( da Cap 15. Aborto spontaneo ricorrente, nuovi sviluppi patogenetici diagnostici , e Terapeutici ,Vaquero et al Medicina dell’età Prenatale, Sprinter 2007, modificato)

In conclusione, le cellule NK deciduali sono un sottogruppo derivato dalle NK periferiche, che promuovono il successo della gravidanza. In condizioni patologiche, un alterato rapporto fra le cellule NK killer e quelle NK regolatrici, può danneggiare il tessuto trofoblastico, esitando in aborto.

4 Ruolo delle cellule T
Le cellule T sono presenti nell’endometrio della fase luteinica e nella decidua e rappresentano l’8-10% delle cellule monunucleate insieme ai macrofagi (20%) e alle uNK che rappresentano circa il 70%. La ricerca sul ruolo delle T cellule in gravidanza, è stata minore rispetto a quella sulle cellule NK. Le cellule T riconoscono l’antigene attraverso un recettore specifico (TCR). La diversità strutturale e funzionale del recettore TCR permette di riconoscere tutti gli antigeni naturali. In base al tipo di recettore (TCR) che esprimono, i linfociti T possono essere classificati in TCR oppure TCR; queste due sottopopolazioni cellulari si trovano entrambe nella decidua e svolgono un ruolo immunomodulatore. Recentemente, alcuni Autori hanno riportato che i polimorfismi del gene BV che codifica per il T cell receptor ( TCR) possono essere coinvolte nella patogenesi dell‘ASR. Infatti, il riconoscimento da parte delle T cellule d’antigeni trofoblastici può dare luogo ad una risposta di tipoTH1, citotossica o TH2 immunospressiva. Le pazienti affette di ASR hanno un deficit di T cellule ad effetto immunoregolatore. Un altro meccanismo di down regolazione dell’attività delle cellule T a livello dell’interfaccia materna fetale è rappresentato dalla secrezione da parte del feto e dalla decidua di CRF ( corticotrophin releasing factor) che induce l’apoptosi dei T linfociti.
In ogni caso, il ruolo delle T cellule non va considerato da solo ma all’interno di una complessa rete di cooperazione fra cellule del sistema immune, peptidi, ormoni, citochine e proteine regolatrici; tutte queste sostanze dialogano in senso bidirezionale a livello dell’unità feto placentare per provvedere alla sopravvivenza del prodotto del concepimento.

5 Diagnosi delle alterazioni del sistema immune cellulare nell ASR
I rapporti fra le quantità e l’attività delle cellule NK e l’ASR è uno dei campi più controversi della medicina riproduttiva. Nell’ultima decade, diversi autori hanno proposto la valutazione della percentuale o dell‘attività delle cellule NK periferiche come test diagnostico in pazienti affette da ASR. Infatti, tali livelli erano incrementati nelle pazienti con ASR rispetto ai controlli fertili, sia prima che durante la gravidanza. Livelli elevati di cellule NK periferiche possono predire un nuovo episodio abortivo. Il decremento mediante immunoterapia del numero o dell’attività delle cellule NK si correla con un esito gestazionale positivo.
Nonostante la gran quantità di lavori scientifici, alcuni autori contestano il ruolo delle cellule NK periferiche nella patogenesi dell’ASR, per diversi motivi. In primo luogo, il fenotipo delle cellule NK periferiche ( CD56-, 16+) differisce da quello dei NK deciduali (uNK) ( CD56+, 16-) e anche la loro funzione: le cellule uNK deciduali hanno un potenziale immunoregolatore attraverso il rilascio di citochine, che le cellule NK periferiche non hanno. In secondo luogo gli autori contestano l’esecuzione della valutazione della percentuale delle cellule NK periferiche attraverso la citofluorometria in quanto il test è gravato da un’elevata variabilità che potrebbe falsare i risultati. Non ci sarebbe nemmeno consenso riguardo il valore di cut-off da considerare patologico. Sono stati proposti diversi cut-off come incremento percentuale delle cellule NK ( >12% oppure > 17%). Infine, non vi è consenso univoco riguardo alla necessità di trattare queste donne e sui risultati degli studi sulle immunoterapie, come discusso in seguito.

Terapie
Le donne con elevati livelli di cellule NK periferiche possono essere trattate con diversi tipi di terapie immunomodulanti quali i glucocorticoidi, le immunoglobuline endovena ( IVIG), ed i farmaci anti-TNF che abbassando la percentuale e l’attività delle cellule NK, diminuiscono una risposta immune eccessiva.
Glucocorticoidi:
Il razionale d’uso della terapia glucocorticoidea in pazienti affette da ASR e con elevati livelli di cellule NK è la dimostrazione del recettore per i glucocorticoidi sulla superficie delle cellule NK sia periferiche che deciduali ( uNK). Alcuni autori hanno dimostrato che le pazienti con ASR presentano un numero di cellule uNK > 5% e comunque superiore ai controlli fertili. Inoltre, è stato dimostrato che la terapia con prednisolone (20mgr/die) è in grado di diminuire i livelli di cellule uNK valutate in due biopsie consecutive, pre e post terapia, rispetto a controlli fertili.
L’uso di glucocorticoidi nelle pazienti con ASR e presenza d’anticorpi antinucleo in assenza d’altri autoanticorpi o segni clinici, non è indicato. A dosaggi immunosopressivi, i glucocorticoidi si possono associare a complicanze gravidiche quali PIH, PROM, diabete e parto pretermine.
Immunoglobuline
L’efficacia dell’impiego delle immunoglobuline endovenose (IVIG) in somministrazioni mensili dalla fase preconcepimento fino alla 12 – 30° settimana è stata confermata da 4 trials ramdomizzati e da una Metanalisi dalla quale emerge un beneficio terapeutico di circa il 24% di tale terapia rispetto al placebo nell’ASR. Una recente Rewiew riporta uno scarso beneficio nell’ASR primario rispetto al placebo (odds ratio 1.28), ed un evidente beneficio nell’ASR secondario ( Odds ratio 2,71). Sfortunatamente i criteri d’inclusione, i dosaggi e la durata delle terapie erano molto diversi, e la maggior parte degli studi considera pazienti con aborti altrimenti inspiegati e non con elevati livelli di cellule NK. Recenti studi hanno potuto dimostrare che la terapia con IVIG riduce significativamente i livelli di cellule NK periferiche in pazienti trattate.
Le IVIG sono preparazioni monomeriche che provengono da un pool di migliaia di donatori e sono state impiegate nella terapia di diversi disordini immunologici già dal 1980. L’efficacia delle immunoglobuline si spiega attraverso il suo meccanismo d’azione “multipoint” con riduzione sia dell’ immunità umorale che cellulomediata. L’infusione é gravata da una piccola percentuale di reazione anafillatiche, rash cutaneo, febbre mialgie, nausea e cefalea, reversibili alla sospensione. La critica maggiore mossa a questa terapia è il suo il costo elevato.
Anticitochine
Nella parte iniziale del capitolo abbiamo visto come alcune citochine di tipo TH1 possano avere un effetto deleterio sulla gravidanza iniziale. Basandosi sull’uso delle terapie citochine ed anticitochiniche nelle malattie ematologiche, alcuni ricercatori hanno ipotizzato che il blocco dei livelli eccessivi di TNFriscontrato nell’ ASR potesse essere ottenuto con la somministrazione d’anticorpi anti-TNF. E stato dimostrato negli animali da sperimentazione che l’anti TNF era in grado di bloccare il riassorbimento embrionico in topoline gravide trattate. Tuttavia, questa terapia rimane a livello ancora esperimentale per i suoi effetti collaterali. In particolare, l’uso di farmaci anti TNF potrebbe associarsi allo sviluppo di linfomi, malattie demielinizzanti e malformazioni in studi su animali da sperimentazione.

V. TROMBOFILIE ED ABORTO RICORRENTE
Il successo dell’impianto e della successiva placentazione prevede un perfetto equilibrio fra coagulazione, fibrinolisi e rimodellamento vascolare attraverso il processo dell’angiogenesi per evitare un accumulo eccessivo di fibrina nei vasi placentari e negli spazi intervillari. La presenza di trombosi, infarti, depositi di fibrina intervillare a livello dei vasi placentari che portano ad insufficienza placentare rappresenta uno dei meccanismi principali dell’ASR.
Le trombofilie si possono classificare in acquisite e congenite o ereditarie. Le trombofilie acquisite quali la sindrome degli antifosfolipidi primaria (APs) sono fattori di rischio inequivocabili per l’aborto ricorrente, mentre le trombofilie congenite quali l’eterozigosi per il fattore V Leiden, la mutazione G20210A del gene delle protrombina la mutazione della metilentetraidrofolato reduttasi (C677T MTHFR), così come i deficit congeniti di proteine C e S e d’antitrobina III hanno un ruolo ancora da chiarire nella patogenesi dell’aborto ripetuto.

1- Sindrome degli anticorpi antifosfolipidi ed aborto spontaneo ricorrente
La sindrome degli anticorpi antifosfolipidi (APs) è la più importante causa trattabile d’ASR. Gli anticorpi antifosfolipidi sono una famiglia di 20 anticorpi diretti contro i fosfolipidi anionici. Nella pratica clinica si dosa il Lupus anticoagulante gli anticorpi anticardiolipina. La sindrome (APs) si definisce con criteri di laboratorio: come la presenza di un elevato titolo d’anticorpi diretti contro fosfolipidi anionici, riconfermati in due occasioni a distanza di sei settimane e con criteri clinici che sono elencati nella tabella 1.:

Tab. 1 Criteri clinici per la sindrome APs primaria.

Non sono stati chiariti i meccanismi patogenetici che predispongono alcuni soggetti alla formazione d’Apl ma esiste una correlazione fra alcuni fenotipi degli allelli di classe II dell’HLA e la presenza di alcuni autoanticorpi. In particolare, l’HLA-DR4, DR7 e DQ7 sono fenotipi a rischio per lo sviluppo d’Apl.
La prevalenza degli anticorpi aPL nelle donne affette di ASR e di circa il 15%, mentre la probabilità di riabortire nella successiva gravidanza non trattata e del 90%. E stato inoltre, dimostrato che la presenza di aPl si correla anche ad altri disordini riproduttivi quali l’endometrosi, l’infertilità inspiegata ed i fallimenti della FIVET. Il reale ruolo degli aPL nei fallimenti dell’impianto dopo procedure di procreazione assistita è ancora controverso, alcuni Autori ritengono che gli aPL possano essere responsabili di fallimenti dell’impianto mentre altri non hanno trovato alcuna correlazione.

Meccanismo di azione
Il meccanismo attraverso il quale gli aPL agiscono non è stato ancora completamente chiarito. L’evento etiopatogenetico principale sembra possa essere attribuito all’attivazione del processo di trombogenesi, che segue all’interazione degli aPL con i fosfolipidi di membrana delle piastrine e delle cellule endoteliali . Questi anticorpi hanno effetti paradossali in “vitro” ed in “vivo”. Questo effetto paradossale è dovuto al legame, in vitro, degli aPL alle superfici fosfolipidiche anioniche dove i fattori della coagulazione Xa e Va convertono la protrombina in trombina con prolungamento del tempo di tromboplastina parziale attivato. In vivo gli aPL promuovono i fenomeni trombotici attraverso I seguenti meccanismi procoagulanti :
In primis, l’aPl riconosce un decisivo antigenico che è il risultato del legame del fosfolipide anionico ad un cofattore o beta2glicoproteinaI La beta2glicoproteinaI agisce come anticoagulante fisiologico legandosi sulle membrane; L’inibizione della sua capacità anticoagulante da parte degli aPL, predispone alle trombosi. In secondo luogo, gli aPL sono anche in grado di legarsi all’annessina V, proteina placentare con un potente effetto anticoagulante, inibendola. L’ annessina V, è un proteina localizzata sulla superficie apicale del sinciziotrofoblasto, la sua attività anticoagulante è legata alla sua elevata affinità per i fosfolipidi anionici, ed alla sua capacità di spostare i fattori della coagulazione dalle superfici fosfolipidiche impedendone la loro attivazione. Gli aPL interferiscono con l’attività anticoagulante della proteina C e della proteina S, legandosi direttamente alla proteina C attivata. Infatti, è stata riscontrata in pazienti con aPL una resistenza all’attivazione della proteina C con conseguente scarso effetto anticoagulante . Finalmente, la capacità degli aPL di interferire con la formazione degli eicosanoidi quali il trombossano (TXA) e la prostaciclina (PGI2) nelle piastrine, nelle cellule endoteliali e trofoblastiche, rappresenta un meccanismo patogenetico che spiegherebbe le manifestazioni cliniche della sindrome.
Nelle fasi precoci della gravidanza gli aPl sono in grado di interferire con la differenziazione del trofoblasto in sinciziotrofoblasto e citotrofoblasto, e promuovono l’apoptosi, inibendo i meccanismi di placentazione. Inoltre, è stato dimostrato che il siero di pazienti con aPL presenta bassi livelli di IL3; l’IL3 ha un ruolo importante nel promuovere la crescita del trofoblasto; la sua diminuzione potrebbe contribuire all’alterata invasione trobofastica riscontrata in pazienti con aPL. In una successiva fase della gravidanza, la presenza d’aPL si associa a vasculopatia deciduale e placentare, con presenza di segni istologici di trombosi , infarto e villi avascolari ed ipovascolari.
Recentemente, è emerso il ruolo patogenetico nella sindrome, d’altri anticorpi diretti contro proteine che legano i fosfolipidi quali l’annessina V , la proteina C, la Proteina S, e la beta2glicoproteinaI chiamati anticorpi anticoffatore. Questi anticorpi possono creare delle interferenze con i test ELISA per gli aPL e sono oggi dosati attraverso test specifici.

Terapie
La terapia della sindrome aPl si é basata storicamente, sull’‘inibizione della produzione anticorpale tramite glucocorticoidi o immunoglobuline ad alte dosi, ma nelle ultime decadi si basa sulla correzione del disturbo emocoagulativo. A questo scopo si utilizza l’eparina a basso peso molecolare. Il razionale d’uso dell’eparina si basa non solo sul suo effetto antitrombotico ma anche sulla capacità d’inibire l’apoptosi del trofoblasto in vitro. Il suo utilizzo è sicuro perché l’eparina non attravesa la barriera placentare. Da una recente Metanalisi che paragona gli effetti delle terapie in pazienti con ASR associate a sindrome APs, emerge che la miglior prognosi gestazionale si ottiene con l’associazione d’eparina ed aspirina

VII- TROMBOFILIE EREDITARIE ED ABORTO SPONTANEO RICORRENTE

La gravidanza modifica l’emostasi emocoagulativa, si assiste ad un incremento della concentrazione di fattori procoagulanti (Fattore VIII, Fattore V e Fibrinogeno) e contemporaneamente una riduzione dei valori plasmatici d’alcuni anticoagulanti naturali (Proteina S e Resistenza all’attivazione della Proteina C). Inoltre si associa una ridotta attività del sistema della fibrinolisi in seguito ad un aumento del suo principale inibitore, il PAI (Inibitore dell’attività del Plasminogeno).
L’insieme di queste modificazioni crea uno stato di lieve ipercoagulabilità e di conseguenza un aumentato rischio trombotico (5-6 volte maggiore rispetto a donne non gravide). Il rischio di patologie tromboemboliche è simile nei tre trimestri di gravidanza ed aumenta da 3 a 10 volte nel post-partum.
Negli ultimi anni sono sempre più frequenti gli studi che riportano un’associazione tra i disordini trombofilici e gli insuccessi gravidici quali aborti sporadici ricorrenti, perdite del secondo trimestre e complicanze gravidiche quali la preeclampsia, il ritardo di crescita intrauterino (IUGR), il distacco di placenta e la morte intrauterina; i meccanismi patogenetici proposti sono sovrapponibili a quelli spiegati in precedenza per la sindrome APs e includono l’alterazione dell’invasione trofoblastica e non solo lo stato d’ipercoagulabilità. Le trombofilie congenite più frequenti sono la mutazione del fattore V di Leiden, la mutazione della protrombina (fattore II) e le mutazioni a carico della metilentetraidrofolato-reduttasi (MTHFR); più rari sono invece i deficit d’anticogulanti naturali come l’Antitrombina III, di Proteina S e di Proteina C.

Resistenza alla Proteina C attivata e Mutazione del Fattore V di Leiden
La mutazione del fattore V di Leiden consiste nella sostituzione di un aminoacido (glutamina con arginina) nella posizione 506 della proteina denominata fattore V. Nella normale cascata della coagulazione la proteina C attivata (APC) inattiva i fattori Va e VIIIa; la mutazione del fattore V impedisce il legame dell’APC e di conseguenza l’inattivazione dei fattori della coagulazione, determinando un’aumentata formazione di trombina e favorendo quindi la formazione del coagulo.
La mutazione del fattore V di Leiden è responsabile di più del 85% dei casi di APC resistenza. La trasmissione genetica è autosomica dominante. Numerosi studi hanno dimostrato l’alta prevalenza della mutazione del fattore V di Leiden in pazienti con aborti spontanei ricorrenti significativamente maggiore (16,3%) rispetto a quella riscontrata in donne sane (4,3%). Tuttavia non tutti concordano sull’associazione tra poliabortività e mutazione del fattore V di Leiden; Una recente Metanalisi riporta un rischio relativo aumentato per i portatori di Mutazione del fattore V in eterozigosi (odds ratio 1,91) (Vedi Tab. 2). Ci sono in ogni caso, sufficienti evidenze sul fatto che la ricerca della mutazione del fattore V di Leiden debba essere richiesta in donne affette da ASR.

Protrombina G20210A
La protrombina (fattore II) nella cascata della coagulazione è convertita in trombina dal complesso formato dai due fattori Xa e Va; una semplice sostituzione di una coppia di basi a livello del DNA del suo gene (A20210G) può determinare un incremento dei livelli di protrombina e di conseguenza un aumentato rischio di trombosi (da 2 a 4 volte). In letteratura la mutazione della protrombina risulta essere associata in maniera significativa ad aborti spontanei ricorrenti. I portatori di tale mutazione in eterozigosi hanno un rischio relativo d’ASR maggiore rispetto al fattore V ( odds ratio 2.7) ( vedi Tab.2). Anche in questo caso, l’inclusione della ricerca della mutazione del fattore II è giustificata nelle pazienti con ASR.

5,10 Metilentetraidrofolato-Reduttasi ed Iperomocisteinemia
L’omocisteina è un aminoacido che si forma dal metabolismo della metionina; può essere trasformata in cistationina dalla cistationina -sintetasi o riconvertita in metionina dalla 5,10 metilentetraidrofolato-reduttasi (MTHFR). Queste vie metaboliche utilizzano come coenzimi e come cofattori l’acido folico, la vitamina B12 e la vitamina B6. Difetti del suo metabolismo possono portare ad un’iperomocisteina, fattore di rischio per aterosclerosi e tromboembolismo venoso. Il polimorfismo a livello del gene che codifica per la MTHFR (sostituzione della citosina con la timina in posizione 677) determina una ridotta attività dell’enzima e di conseguenza un’iperomocisteinemia ed è un difetto autosomico recessivo. L’omozigosi per la mutazione MTHFR C677T è presente nel 10-20% della popolazione generale e predispone ad una lieve iperomocisteinemia. L’eterozigosi è molto frequente (46% della popolazione) e non si associa ad iperomocisteinemia. L’iperomocisteinemia stimola la cascata della coagulazione atraverso l’aumento del “fattore tessutale”, la riduzione della proteina C, la riduzione dell’attivatore del plasminogeno, la ridotta produzione d’ossido nitrico (NO), e la predisposizione al’attivazione piastrinica. L’iperomocisteinemia si può slatentizzare soprattutto in carenza di folati o di vitamine B6 e B12; In base ai valori plasmatici di omocisteina si classifica in: 1) Severa (>100 mol/litro); 2) Moderata (25-100 moli/litro); 3) Lieve (16-24 moli/litro). I livelli di omocisteina si riducono del 30-50% con l’avanzare della gravidanza.
Tra le pazienti con aborti spontanei ricorrenti, l’omozigosi per la mutazione C677T della MTHFR si associa ad un moderato rischio relativo di aborti successivi (Ods ratio 0.8-1.6); non vi è evidenza che l’eterozigosi per la mutazione C677T sia un fattore di rischio per patologie gravidiche. L’iperomocisteinema, con valori superiori a 15 mol/litro, aumenta significativamente il rischio di aborto spontaneo nel I trimestre (ods ratio 4.21) (vedi Tab.2); tale rischio si abbassa con la diminuzione dei livelli di omocisteina che avviene durante la gravidanza.

Deficit di Antitrombina III
L’antitrombina III (AT III), sintetizzata a livello del fegato, è una proteina con azione anticoagulante. Inibisce la trombina, i fattori IXa, Xa, XIa e XII della coagulazione ed inoltre accelera la scissione del complesso membrana cellulare-fattore VIIa. Il deficit d’AT III è congenito, con trasmissione autosomica dominante; tra le trombofilie congenite è quella maggiormente trombogenica (rischio di episodio trombotico di almeno il 50%). La prevalenza dell’eterozigosi per il deficit d’AT III è molto bassa ed è presente solo nell’1% dei pazienti con anamnesi positiva per patologia tromboembolica venosa. L’eterozigosi determina una riduzione dei valori d’AT III del 30-70% rispetto al normale; l’omozigosi è incompatibile con la vita.
I valori d’antitrombina III sono sostanzialmente immodificati in gravidanza. Il deficit d’AT III si associa ad aborti tardivi ( odds ratio 7.5). Non emergono a tutt’oggi correlazioni fra deficit d’AT III ed ASR, (odds ratio 0.9) probabilmente a causa della bassa prevalenza di questo tipo di deficit.
Deficit di Proteina S e di Proteina C
La Proteina C e la Proteina S sono sintetizzate a livello del fegato; la Proteina S è prodotta inoltre dalle cellule endoteliali. L’effetto anticoagulante del complesso “proteina S-proteina C attivata” si compie tramite il legame ai fattori Va e VIIIa inattivandoli, riducendo così la produzione di trombina. I livelli di proteina S libera si riducono fisiologicamente del 40%-60% in gravidanza. La prevalenza del deficit di Proteina C è di 0.2-0.8% mentre il deficit di proteina S è dello 0.1% nella popolazione generale. Il deficit di proteina C si associa soprattutto ad aborti tardivi sporadici con un rischio elevato ( odds Ratio 7.1) ed in minor misura ad ASR (odds ratio 1.6). Il deficit di Proteina S si correla ad un elevato rischio di perdite del terzo trimestre di gravidanza (odds ratio 20) ma anche ad aborto ricorrente ( odds ratio 14,7).

Terapie
Sebbene sia ancora dibattuto in letteratura se trattare le pazienti con una trombofilia congenita, il trattamento si basa principalmente sull’utilizzo dell’eparina a basso peso molecolare (4000 UI) associata ad aspirina (100 mgr). L’efficacia terapeutica di tale associazione nel prevenire le perdite gravidiche è stata valutata nella Metanalisi di Robertson, e riconfermata in studi successivi, con un beneficio terapeutico significativo ( odds ratio 1,68-5.10). La selezione delle pazienti da trattare dovrebbe essere fatta in base all’anamnesi positiva per episodi tromboembolici e/o patologia gravidica. Inoltre, l’associazione di più di un polimorfismo per trombofilia ha un effetto sinergico sull’alterazione del sistema emocoagulativo peggiorando la prognosi riproduttiva. Per quanto riguarda la posologia, lo studio LIVE ENOX non evidenzia differenze in termini d’esito gestazionale con l’utilizzo di 4000 UI (84%) oppure 8000 UI (82%) di enoxaparina associata ad aspirina a basse dosi. In un nostro studio pilota, 27 donne poliabortive portatrici di almeno una trombofilia congenita sono state trattate con enoxaparina (4000 UI/die) ed aspirina a basse dosi (100 mg/die) dall’inizio della gravidanza fino a 4 settimane dopo il parto, ottenendo un’alta percentuale (81%) di figli nati vivi a termine senza alcuna grave complicanza ostetrica; le critiche fatte a questi studi osservazionale sono l’assenza di braccio di controllo senza terapia. A tutt’oggi sono in corso tre studi controllati con un braccio terapeutico con placebo o senza terapia che forniranno informazioni conclusive. In caso d’iperomocisteinemia la supplementazione con vitamine B6 e B12 ed acido folico è la terapia di prima scelta. Il dosaggio di acido folico ad alte dosi (15 mg/die) e vitamina B6 (750 mg/die) incrementa la prognosi riproduttiva dal 70% al 91%.
In conclusione, visto che le trombofilie congenite possono essere causa in gravidanza d’eventi tromboembolici materni, e complicanze gravidiche, dovrebbero essere sottoposte a screening per trombofilia tutte quelle pazienti con complicanze ostetriche o perdite fetali o con un’anamnesi familiare o personale positiva per patologia tromboembolica, per potere identificare precocemente quelle che devono essere trattate secondo gli schemi descritti in precedenza.

VII- IPOFIBRINOLISI ED ABORTO SPONTANEO RICORRENTE

1- Fibrinolisi nella gravidanza normale e patologica
L’impianto dell’embrione nell’endometrio umano è un evento molto complesso. Il successo dell’impianto e la successiva placentazione dipende da un perfetto equilibrio fra coagulazione, fibrinolisi e rimodellamento vascolare. Nella gravidanza fisiologica, a fronte di processi d’angiogenesi si ha l’attivazione della cascata fibrinolitica per evitare un eccesso di deposito di fibrina nei vasi placentari e negli spazi intervillari. Durante l’invasione del trofoblasto, l’attivatore del plasminogeno urochinasi dipendente (uPA), ed il suo inibitore PAI-1 controllano la proteolisi ed il rimodellamento del tessuto deciduale materno mentre la formazione del piatto basale placentare prevede la deposizione della fibrina nella parete dei vasi deciduali attraverso l’attivazione della cascata coagulativa materna. Un’alterazione di questo meccanismo può causare trombosi, infarti e depositi di fibrina intervillare in eccesso limitando così l’invasione trofoblastica e causando la perdita embrionale negli stadi iniziali.

2- Polimorfismi da ipofibrinolisi
I polimorfismi dei geni che codificano per fattori coinvolti nella fibrinolisi, sono i seguenti: mutazione 4G/4G del PAI-1, mutazione dell’ACE del/del, mutazione Val/Leu del fattore XIII e deficit del fattore XII.
PAI-1 ( inibitore del PA)
Soggetti con mutazione in omozigosi (4G/4G) del gene che codifica per il PAI-1, determinano concentrazioni plasmatiche del PAI-1 tre-cinque volte superiori rispetto ai portatori d’alleli 5G/5G e 4G/5G. La prevalenza dell’allele 4G/4G nella popolazione generale è molto elevata, circa il 20%.
ACE ( angiotesin convertine enzyme)
Il polimorfismo delezione/delezione in omozigosi (ACE del/del) si associa all’incremento dei livelli dell’enzima ACE in circolo, determinando quindi un aumento dell’angiotensina II che aumenta sia la sintesi che la concentrazione del PAI-1, creando ipofibrinolisi.
Fattore XIII
Il fattore XIII è una transglutaminasi che garantisce la stabilizzazione del coagulo di fibrina. Il polimorfismo Val34Leu è stato correlato alla trombosi, con prevalenza del genotipo Val/Val; i soggetti con omozigosi Val/Val presentano una maggiore attività enzimatica che porta ad una maggiore resistenza del coagulo di fibrina alla lisi.
Fattore XII
Il fattore XII è un attivatore d’entrambe le cascate, emocoagulativa e fibrinolitica. Il polimorfismo C46T del gene per il fattore XII determina più bassi livelli plasmatici del fattore XII. S’ipotizza che questa mutazione potrebbe causare un aumentato rischio tromboembolico.

3-Ipofibrinolisi e complicanza gravidiche
Diversi lavori evidenziano che il genotipo 4G/4G del PAI-1 può incrementare lievemente il rischio di alcune complicanze gravidiche tra cui la preeclampsia, il ritardo di crescita intrauterino, il distacco intempestivo di placenta, la morte intrauterina, gli aborti spontanei ricorrenti (ASR). Per quanto riguarda l’ASR sono stati pubblicati pochi studi clinici in associazione con l’ipofibrinolisi. Alcuni Autori hanno dimostrato una prevalenza aumentata di questo polimorfismo in pazienti poliabortive rispetto a controlli sani; in questo studio inoltre anche la prevalenza del genotipo ACE del/del in omozigosi è significativamente aumentata nelle pazienti affette da ASR rispetto ai controlli. Le pazienti con omozigosi Val/Val del fattore XIII hanno bassi livelli di tale fattore ed un alto rischio per ASR. Una recente Metanalisi, ha evidenziato come il deficit di fattore XII sia associato ad aborti spontanei ricorrenti. L’associazione di polimorfismi per ipofibrinolisi, in omozigosi e/o in associazione a polimorfismi per trombofilia, hanno un effetto d’ amplificazione sul rischio di ASR.
4-Terapia
Le pazienti affette da ASR con polimorfismi per ipofibrinolisi beneficiano della terapia anticoagulante. Alcuni Autori, riportano miglioramento della prognosi gestazionale in pazienti con omozigosi per il PAI-1 4G e del polimorfismo del fattore XIII Val34Leu, trattate con aspirina a basso dosaggio e/o eparina a basso peso molecolare.
Non esiste ancora consenso sulla terapia da intraprendere in caso di un disturbo fibrinolitico singolo o in eterozigosi ma, a causa dell’effetto d’amplificazione, le pazienti portatrici di difetti combinati, di difetti in omozigosi o associati a polimorfismi per trombofia, dovrebbero essere trattate con terapia anticoagulante a base d’eparina a basso peso molecolare ed aspirina a basso dosaggio.
CONCLUSIONI
Le scoperte in campo dell’immunologia della riproduzione, dell’endocrinologia, dell’ematologia e della genetica hanno permesso di avere un approccio multidisciplinare nello studio delle coppie con ASR. L’età materna al concepimento e la storia riproduttiva precedente, sono fattori di rischio indipendenti per gli episodi abortivi. La possibilità di avere una gravidanza a termine nelle donne di più di 40 anni è molto bassa. Nelle coppie giovani, la possibilità di una gravidanza a termine in caso di ASR inspiegato è elevata ed è per questo che i clinici non dovrebbero proporre terapie empiriche che possano provocare più danno che beneficio. Nel caso di fattori di rischio accertati, la terapia dovrebbe essere il più possibile eziologia. La terapia chirurgica per il fattore anatomico, e la risoluzione dell’aberrazione ormonale associata ad ASR hanno un beneficio terapeutico indiscutibile. La dimostrazione che alcune donne sono in uno stato d’ipercoagulabilità al di fuori della gravidanza, ha enfatizzato il ruolo del sistema emocoagulativo nella gravidanza iniziale, e della terapia anticoagulante. L’utilizzo delle immunoterapie nelle coppie affette da ASR su base immunologica e della diagnosi preimpianto nelle portatrici di traslocazioni, richiedono successivi studi randomizzati con placebo e grandi casistiche. Finalmente, non vi sono a tutt’oggi linee guida per la terapia di alcuni fattori emergenti quali le alterazioni della perfusione uterina o l’ipofibrinolisi associati ad ASR.